Coscienti dei propri bisogni reali, ma attenti anche al rispetto delle altre persone e della natura
Uno sguardo al passato: il consumatore informato
L’interesse per l’educazione al consumo non è un fenomeno recente: educatori, imprese, politici, associazioni di consumatori se ne sono occupati con crescente impegno già negli anni venti-trenta, quando, a partire dagli Stati Uniti, il basso livello di reddito e i problemi legati alla recessione portarono in primo piano l’esigenza delle famiglie di scegliere prodotti migliori e più convenienti. Negli stessi anni il modello di società americano cominciava a essere esportato in Europa, contribuendo all’affermazione della “società dei consumi”, centrata sulla figura del consumatore che, attraverso l’acquisto di prodotti, talvolta anche superflui, sosteneva la crescita economica del paese.
La costruzione della società del benessere richiedeva la crescita dei consumi. Di qui l’enfasi posta, anche a livello politico, sul diritto dei cittadini-consumatori a ottenere il massimo beneficio dalle proprie risorse e ad essere protetti da frodi e raggiri.
In questo quadro, l’educazione al consumo era concentrata sull’informazione del consumatore, le cui scelte diventavano complesse, in misura della crescente disponibilità di beni e servizi, e le cui conoscenze sui prodotti diminuivano quanto più si allentava il contatto diretto con i produttori dei beni da acquistare. Educare al consumo si traduceva nel fornire gli elementi conoscitivi necessari per sostenere il consumatore nel momento dell’acquisto, per permettergli di selezionare i prodotti migliori: alimenti, case, carburante, capi di abbigliamento, servizi bancari ecc.
Il consumatore consapevole era il consumatore informato: nessuno dubitava che milioni di consumatori non avrebbero acquistato determinati beni e servizi se avessero avuto maggiori informazioni su quello che stavano acquistando.
La prospettiva attuale: il consumatore consapevole
Gli attuali studi sui processi decisionali del consumatore ci mostrano un quadro diverso: non è più possibile sostenere che l’informazione sia l’elemento decisivo della scelta di acquisto. Le stesse scelte alimentari sono guidate da motivazioni psicologiche e culturali piuttosto che da reali bisogni fisiologici.
Alla fine del ventesimo secolo, il consumo si propone come l’attività sociale e culturale per eccellenza: sono i modelli di consumo che contribuiscono a creare nell’individuo e nel gruppo un senso di identità basato su fattori di natura culturale, sociale e psicologica più che su variabili demografiche e socio-economiche. È cambiata anche la pubblicità, che, nel promuovere l’acquisto di beni di consumo presso un vasto pubblico, configura modelli di comportamento, definisce sistemi di valori, crea aspettative anche non immediatamente raggiungibili da gran parte della popolazione.
Sui comportamenti e le abitudini di consumo di strati sociali sempre più ampi pesa l’aspirazione a trasformare i propri modelli di vita secondo quanto propone il mercato di massa. La battaglia si gioca non semplicemente sulla scelta di un prodotto o un servizio, ma sul terreno dell’immaginario, alimentato dai mass media, dal progresso tecnologico, dalle nuove forme di intrattenimento e di svago. La tendenza è quella di spostare l’accento dalle caratteristiche materiali del prodotto a quelle immateriali.
Con il risultato che il consumatore, quando si trova di fronte a prodotti che offrono prestazioni analoghe, opera la sua scelta non in funzione del prodotto materiale, ma delle sue connotazioni (culturali, etiche, estetiche ecc.) e delle suggestioni che il prodotto evoca, toccando una sfera di bisogni sostanzialmente emotivi.
In tale contesto, è più forte che mai il bisogno di provvedere a una educazione del consumatore, nella scuola e oltre, che non si limiti a fornire informazioni e conoscenze “tecniche”. Il consumo ha assunto una importante dimensione individuale e una valenza sociale. Dal punto di vista individuale, è fondamentale riflettere sul processo decisionale del consumatore – giovane e adulto – per incoraggiarlo a identificare i propri bisogni, scoprire come alcuni comportamenti apparentemente naturali sono culturalmente determinati, considerare quanto i propri atteggiamenti e le informazioni di cui si dispone condizionano le scelte di consumo. Dal punto di vista sociale, occorre situare il consumo nel suo contesto sociale e politico, far emergere le relazioni tra beni e pratiche di consumo e i problemi connessi ai rapporti di potere, ai diritti civili, ai temi ambientali.
Quello che era assente nella concezione tradizionale dell’educazione al consumo era la dimensione dei valori, quale si concretizza nella valutazione dei fini dell’educazione al consumo e quindi nel riconoscimento del ruolo sociale e politico del consumatore. Se l’educazione al consumo, nella sua forma tradizionale, forniva informazioni e strumenti per gestire la situazione di acquisto, l’educazione al consumo oggi è impegnata, in tutte le sedi opportune, a sviluppare nell’individuo la capacità di essere un consumatore critico, consapevole dei propri bisogni, della qualità e del valore di prodotti e servizi e degli effetti finali di tali prodotti e servizi sull’economia, sull’ambiente, sull’essere umano.