Augurarci di essere “analfabeti”. È da qui, credo, che dovremmo partire per un’educazione ai consumi.
Educazione è una parola sospetta. Ancora è nella testa di molti l’idea che c’è chi educa e chi viene educato, che l’adulto insegna e il ragazzo è un contenitore in cui riversare lezioni e saperi. Credo invece che oggi, più che mai, abbiamo il bisogno di educarci proprio tutti. Per questo dobbiamo augurarci di essere analfabeti.
Educare vuol dire conoscere, e la conoscenza nasce dal non sentirsi mai arrivati, da un bisogno continuo di studiare, approfondire. Da un vedere che non si limita a guardare. Da un ascoltare che non si limita a sentire. Ci vuole il coraggio e la forza di essere analfabeti, appunto, diffidando di chi sa tutto, di chi ha capito tutto.
E poi c’è bisogno di un altro coraggio: quello di essere inadeguati. Il problema dei consumi è quello dell’orizzonte culturale in cui siamo immersi, dal quale rischiamo di essere soffocati. Lo conosciamo bene perché è la realtà che entra nelle nostre case attraverso la televisione, quella che ci viene continuamente reclamizzata dai prodotti, dalle merci. È un orizzonte che si rivolge al singolo individuo e gli promette, in cambio del consumo, il successo, la ricchezza, la bellezza esteriore, il potere. Ecco, dovremmo chiederci se questo non sia un grande inganno. Chiederci se, consumando in quel modo, non corriamo il rischio di consumarci, di cadere in spirali sempre più profonde di smarrimenti, ansie, paure. Di vuoti riempiti con le droghe o con l’alcol. E ritrovarci sempre più soli, sempre più lontani dagli altri e dalla vita vera. E sono spesso i più giovani, oggi, a farne le spese.
Per questo è importante trovare il coraggio di sentirsi inadeguati, prendere le distanze da quella realtà in cui le merci sostituiscono le persone e il senso della vita dipende da quello che hai e non da quello che sei. È questa consapevolezza che ridona dignità al consumo e lo salda a una dimensione di giustizia. Perché la vita fatta di troppi consumi, di sprechi, di cose superflue, provoca, da un’altra parte, povertà e privazione.
Mai come oggi ci troviamo in un mondo dove pochi hanno tanto (troppo) e moltissimi non hanno nulla.
Dove da una parte c’è una rincorsa frenetica al benessere, e dall’altra non ci sono nemmeno le condizioni per essere.
Un consumare sobrio, equilibrato, attento è allora la condizione per creare un mondo più giusto, più libero, più felice.
La sfida della globalizzazione, di un mondo unito non solo dai mercati economici ma anche da un nuovo modo di vivere con gli altri, sta in fondo in questo, nel riconoscere che il benessere individuale non può essere più ottenuto a scapito di quello collettivo. Riconoscere che gli altri esistono, accanto a noi, e che sono proprio loro a darci la misura di noi stessi, a rendere più ricca e generosa la nostra vita. È in questo orizzonte che c’è educazione ai consumi, perché è la vita stessa, a quel punto, a essere consumata, anzi a chiedere di essere consumata.
Consumata dalle passioni e dagli ideali di cui si nutre. Consumata nella giustizia e per la giustizia.