L’incontro, il rapporto con l’altro non può assolutamente basarsi sul presupposto di una superiorità culturale o sociale
Numerose sono le insicurezze che ci avvolgono come tante maglie di una rete.
Così, per esemplificare, l’insicurezza sul lavoro quando non sono osservati i presidi diretti a tutelare l’incolumità del lavoratore o quando questi teme di perdere l’occupazione e quella di chi non riesce a trovare un lavoro.
E poi, l’insicurezza alimentare, ambientale, della salute, da terrorismo, da criminalità organizzata o diffusa.
Fra le varie insicurezze si pone quella da diversità di razza e di cultura a dispetto degli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che vogliono tutte
le persone uguali davanti alla legge e vietano qualsiasi forma di discriminazione fondata, in
particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle, o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali. Nella stessa ottica si muove l’articolo 3 della nostra Costituzione.
Orbene uno studioso (M. Aime, Eccessi di culture) ha sostenuto, con condivisibili argomentazioni, che non esistono veramente le etnie, le identità culturali, lo scontro tra culture dai valori inconciliabili, ma che ad incontrarsi e scontrarsi non sono mai le culture ma le persone e che insistere sull’identità locale o nazionale significa creare recinti invalicabili che alimentano nuove forme di razzismo. Così, esemplificando, lo studioso rileva che affermare l’origine celtica degli abitanti della pianura padana è un non senso perché la popolazione denominata “celtica”, che non aveva alcuna organizzazione politica
che la riunisse, alcun regno, alcuno Stato, alcun culto comune, fu inventata di sana pianta nel Settecento da intellettuali scozzesi, irlandesi, gallesi e bretoni, per tentare di costruire le rispettive identità nazionali in contrapposizione alla popolazione dominante in Inghilterra e Francia. Quanto poi all’Italia, lo scrittore si chiede quale sia la sua identità posto che essa ha raggiunto l’unificazione dopo quattordici secoli di divisioni e di dominazioni tra le più disparate, con conseguente contaminazione genetica delle popolazioni. Nello stesso impero romano circolavano persone che provenivano da ogni parte del mondo allora conosciuto.
Pensieri degni di considerazione, quelli appena esposti, ai quali mi piace aggiungere queste parole di Padre Ernesto Balducci (La terra del tramonto): Nell’età moderna l’uomo incontrò l’uomo e non lo riconobbe, come dire: l’uomo incontrò se stesso e non si riconobbe avviando così una tragica alienazione… gli esclusi dal banchetto delle nazioni fanno ressa alla porta e c’è chi riesce a penetrare nella sala sfarzosa suscitando nei commensali sgomento ed irritazione. Delle varie teoriche che son state formulate per rapportarsi al “diverso”, penso che vada esclusa quella che va sotto il nome di multiculturalità che significa ghettizzazione, chiusura di ciascuna etnia in un proprio confinato luogo rendendo noi e gli altri quasi reciprocamente invisibili. Né miglior esito possono avere l’assimilazione e l’integrazione che implicano l’adeguamento alla “cultura” ritenuta superiore, o comunque dominante, di quella ritenuta inferiore e quindi soccombente. La via da intraprendere sta, per parte mia, nel “reciproco riconoscimento” che conduce ad uno scambio dell’esperienze positive. Una interazione, dunque, tra noi e gli altri, risultato al quale si giunge togliendo una sola lettera, la “g”, alla parola integrazione.
Ciò nel rispetto, ovvio, di due principi: l’applicazione della legge penale a chi commette reati ed il rispetto, da parte dello straniero, dei principi fondamentali scritti nella Costituzione. A questo proposito – e quasi in termini di reciprocità – numerose disposizioni della Carta non sono dirette solo ai cittadini, ma a qualunque individuo. Così, per esemplificare, l’articolo 2 che riconosce «i diritti inviolabili dell’uomo», l’articolo 8 che proclama l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose, gli articoli 13, 14 e 15 che tutelano la libertà personale, di domicilio e di corrispondenza, l’articolo 21 secondo cui «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero», l’articolo 24 che garantisce la tutela dei diritti e quello di difesa, l’articolo 27 che sancisce il principio della personalità della responsabilità penale.