I valori e i mezzi di comunicazione. La cooperazione, antidoto all’individualismo, e la mensa scolastica per nutrire corpo e mente.
Un colloquio con Mario Lodi
La Costituzione e la scuola. Ecco secondo me da qui, da questo rapporto bisogna partire.
Da lontano dunque…
Sì, e no. Io vedo una analogia fra il momento storico del dopoguerra -quello in cui è nato il Movimento Cooperazione Educativa- e quello di oggi. Come allora, anche oggi c’è bisogno di ricostruire moralmente una società recuperando i valori abbandonati. E quei valori –ieri come oggi- sono, a chiare lettere, scritti nella Costituzione.
Quindi la bussola c’è. Non è poco.
La stella polare! Ma di tutto è stato fatto per offuscarla, per confonderci e per sviarci. Sulla libertà, per esempio. Invece di coniugarla con la solidarietà, con la responsabilità, e anche con l’amicizia e con il lavoro, la si è isolata e interpretata in modo del tutto egoistico. In molti oggi pensano che per realizzarsi ognuno è libero di fare tutto quello che vuole senza tenere conto degli altri. Penso che riproporre la cooperazione come pratica pedagogica in una situazione, come quella attuale, di accentuato individualismo sia un atto coraggioso e necessario per recuperare un valore formativo che la società e la scuola hanno accantonato o dimenticato. Tanto più necessario oggi, visto il ruolo sempre più preponderante, spesso invadente, assunto da giornali, televisioni, internet.
Costituzione e democrazia, dunque. Ma come insegnarle?
Innanzi tutto bisogna dire che le si insegna a scuola, a casa, in strada, nei comuni, dovunque c’è gente che si impegna. Francamente però penso che più che insegnarle bisogna viverle. Più che mettersi ad analizzare articolo per articolo, è meglio metterle in pratica quelle parole. Faccio due esempi, la festa dell’accoglienza e l’aula laboratorio.
Il compito principale di un maestro è insegnare ad ascoltare. È da lì che nasce la democrazia. È vero, i ragazzi di oggi sono molto diversi tra loro, in numero sempre crescente vengono da esperienze e tradizioni molto lontane e differenti. Ma se li metto insieme, se li faccio interagire quello che presto emergerà ben più forte delle differenze sarà il comune sentire, l’identità delle emozioni che permette di rispecchiarsi nell’altro, di sentirlo vicino e amico. Ecco, la festa dell’accoglienza simboleggia questo, propone, allude alla volontà di trasformare la scuola in una piccola società di eguali. Ed è anche la risposta a chi vorrebbe isolare, a chi pensa che insegnare la lingua, l’italiano, possa avvenire al di fuori di un rapporto concreto e reale con la realtà vissuta, con gli altri. Così non l’impareranno mai, né potranno mai realmente integrarsi.
E nella scuola come piccola società di uguali qual è la funzione dell’aula laboratorio?
Dobbiamo abbellire le aule, decorarle con dei colori, istoriarle. Insomma renderle vive, farle diventare come la nostra seconda casa. Credo che questo sia il modo più concreto, ed efficace, per imparare a rispettare l’ambiente, la scuola oggi, la città e il territorio domani. Poi, insieme con i genitori, dobbiamo concordare su come attrezzarle, su come trasformarle in laboratorio. I colori, la lavagna, il computer, tutte le cose che servono.
E a ogni bambino sarà affidato un compito. Ci sarà chi si occupa dei pennarelli, chi della carta, chi del sapone, e così via. Piccole esperienze che educano al rispetto del bene comune, non solo al vantaggio del singolo. Insieme si capirà sia dell’importanza dell’organizzazione sia di quella della responsabilità.
E anche, cosa importantissima, si aiuterà il bambino nel passaggio dall’io al noi, dal tutto è mio al tutto è nostro. Momento fondamentale, sia dal punto di vista psicologico che da quello scientifico, che segna il passaggio dell’egotismo alla socializzazione.
Naturalmente, però, ci sarà chi si distingue e chi rimarrà indietro.
Ah, ecco, la meritocrazia. Dietro a questo termine si nasconde oggi la corsa al riconoscimento e al successo personali, alla supremazia sugli altri. Io penso invece all’esperienza della scuola di Barbiana, dove i più “bravi” erano quelli che si mettevano al servizio degli altri, quelli che si davano da fare per accorciare le distanze non per rimarcarle.
Ma l’insegnamento di don Milani è ancora attuale?
La sua era un’idea semplice e geniale. Insegnare e insegnare a insegnare. Ecco io penso che la scuola debba autoformarsi, che gli insegnanti per formarsi una professionalità debbano innanzi tutto far tesoro della loro esperienza all’interno della scuola. E la scuola di Barbiana era solidarietà, cooperazione in atto. Necessarie ieri come oggi. Ma la sua esperienza, il suo insegnamento sono stati ignorati da chi comanda.
Solidarietà e cooperazione. Due concetti chiave.
Sì, e aprono molte porte. Prima di tutto ci deve essere la cooperazione tra i bambini, assolutamente indispensabile. E insieme ci devono essere quelle tra insegnante e insegnante e tra famiglia e scuola, senza dimenticare di coinvolgere il personale non insegnante. Solo così la scuola può trasformarsi in una comunità solidale, offrire ai bambini un vero senso di appartenenza, e formarli anche come cittadini. E tanto più sarà aperta all’esterno, al rapporto con chi fuori dalla scuola persegue obiettivi analoghi, tanto più efficace e concreto sarà il suo insegnamento.
Come giudica le iniziative di Coop in questa direzione?
Da sempre penso e scrivo che a scuola bisogna portare la vita, che bisogna mettere a contatto direttamente i bambini con la realtà quotidiana, fargliela toccare con mano. Come potevamo non accogliere l’invito di accompagnare i bambini in visita al supermercato, di mostrar loro come si leggono e decifrano le etichette, di insegnar a prestare attenzione all’origine di un prodotto? Per la salute loro, per il rispetto dell’ambiente, per il doveroso riconoscimento di chi con il lavoro quel prodotto ci ha messo a disposizione. Un’esperienza significativa sulla quale ho cominciato a riflettere, per poterla estendere a un numero sempre più grande di bambini.
Ci potrebbe anticipare qualche idea?
Ecco, penso alla mensa, a quel momento in cui tutti i bambini sono insieme a tavola. Quale momento migliore per parlare loro dei cibi, di quelli che sono più sani e nutrienti, di quelli che fanno bene alla salute? E per scoprire invece, sempre insieme a loro, quelli che rispondono solo alle esigenze del mercato, come tanti di quelli che la televisione propone?
Con il risultato di un numero sempre maggiore, in Italia come in tanti altri paesi, non solo di adulti ma di bambini obesi. La mensa è davvero un grande momento di socializzazione e al tempo stesso un’opportunità per un’educazione a un consumo attento e consapevole.
Ci sono maestri che già si muovono in questa direzione?
Sì, quando c’è un direttore o un collega che li aiuta e sostiene riescono a introdurre nella scuola il concetto che oltre a imparare insieme bisogna mangiare insieme. Che bisogna nutrire il corpo e la mente, sapere perché si mangia e che noi siamo quello che mangiamo. E nascono le mense.
D’altra parte è il messaggio della Montessori: portare a scuola quello che i bambini fanno a casa. Con questo messaggio Coop è in sintonia, e in questa direzione penso possa dare un contributo.
Per una scuola a tempo pieno, dove si impari, si giochi e si mangi insieme.