Fino alla fine del secolo scorso, l’impatto ambientale delle proprie attività era considerato dalle imprese come un problema assolutamente marginale. Se ne accennavano nella loro comunicazione di marketing era solo per cercare di differenziarsi dai concorrenti, con l’obiettivo di raggiungere un numero piuttosto esiguo di potenziali consumatori, idealisti e quindi disposti a spendere un po’ di più per un beneficio che in fin dei conti sarebbe andato a vantaggio della collettività, e non a se stessi.
Le cose hanno iniziato a cambiare una quindicina di anni fa, quando le tematiche ambientali, inserite nel più ampio concetto della responsabilità sociale d’impresa (CSR), divennero per le imprese una questione di (buona) reputazione: non tenerne conto poteva finire per essere una scelta rischiosa, che posizionava il brand nella parte più cinica del mercato. In quegli anni, i prodotti “verdi” cominciarono a diffondersi tra gli scaffali della moderna distribuzione, si iniziò a pubblicare i bilanci ambientali (o sociali), e più in generale la tematica cominciò a essere percepita come un prerequisito per un’azienda che fosse interessata a gestire in modo positivo i rapporti con i propri stakeholder (clienti e distributori, investitori, istituzioni, comunità locale ecc.).
Oggi, dopo quasi 50 anni dalla pubblicazione del celebre “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, e alla luce di un’evidente crisi ambientale planetaria, la sostenibilità non può più essere considerata come una semplice “opzione strategica”.
Dimostrare costantemente il proprio impegno per la sostenibilità, non è più la strada per acquisire un posizionamento vantaggioso sul mercato, né un facile strumento per ammantarsi di una buona immagine, è molto di più: è la condizione necessaria per la sopravvivenza stessa del proprio business. Dal 2015, quando l’ONU ha dettato al mondo delle imprese gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG – Sustainable Development Goals), è impensabile che un’azienda possa non considerare nelle sue strategie i vincoli imposti dall’ambiente.
Al di là di qualunque considerazione morale, bastano i fatti di cronaca economica per dimostrare che neanche i marchi più amati e blasonati possono permettersi il rischio di essere accusati di scarsa sensibilità alle tematiche della sostenibilità.
Che si tratti di emissioni dannose, benessere degli animali, spreco e inquinamento di risorse idriche, depauperamento della biodiversità o consumo del suolo, chi oggi si ostina a mantenere un atteggiamento di breve periodo – ancorato a un vecchio modo di interpretare il valore dell’impresa – rischia di vedere vanificati tutti i propri investimenti e perdere, per sempre, la fiducia dei suoi clienti.