Michela Marzano, docente di Filosofia morale presso l’Università Paris Cité e scrittrice
“Il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi è già favorito. Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha”, ha dichiarato il Presidente Mattarella a Barbiana, in occasione dell’apertura delle celebrazioni per il centenario della nascita di don Milani. Ma come si fa a dare nuove opportunità a chi non ne ha se non si punta tutto sulla scuola? Soprattutto in un’epoca in cui, come l’attuale, ciò che manca più di ogni altra cosa sembrano essere proprio le parole, e quindi le basi di quella cultura che, prima ancora di essere privilegio, rappresenta le fondamenta dell’edificio dell’esistenza.
Inutile stupirsi di fronte al dilagare dell’odio e degli insulti: quando non si hanno le parole per esprimere ciò che si prova, si urla; e la collera agita e, oltre a mietere inutili vittime, corrode dall’interno. Leggere un libro non serve a recitare qualche dotta (e inutile) citazione; serve a viaggiare, esplorare, scoprire, immaginare, sognare, costruire, proiettandosi verso il futuro consapevoli dei progetti che si possono portare avanti. Anche le frustrazioni e il dolore che si attraversano pesano meno quando si riesce a nominarli, creando ponti verso gli altri e verso le proprie zone d’ombra. Come scriveva don Milani: “La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale”. Perché il pane, la casa e il caldo sono conseguenze della capacità di pensare, di criticare, di argomentare e di parlare.
Le parole sono tutto. Ciò che non viene nominato non esiste nemmeno. E il punto di partenza è sempre e solo la scuola; e i maestri e le maestre che si incontrano; e i professori e le professoresse che hanno il potere di cambiare radicalmente il destino di una persona.
La scuola non è solo lo strumento attraverso il quale si possono (e si devono) trasmettere sapere e competenze. La scuola è anche, e forse soprattutto, uno spazio di inclusione e di vita: il luogo in cui nascono legami e affetti, in cui si sviluppa la fantasia e in cui le emozioni si incarnano, in cui l’“io” incontra davvero il “tu” e si può davvero capire il significato di una parola piccola, ma essenziale: “con”. È “con” gli altri che ci si costruisce, si progetta, si sogna, si impara, si sbaglia, si cade, ci si rialza. È “con” gli altri che si ama, se non si vuole scivolare nella trappola dell’“io ti amo e quindi tu mi appartieni”, perché è sempre grazie all’“io amo con te” che si diventa grandi e si capisce il significato che hanno concetti solo apparentemente contraddittori come l’autonomia e la dipendenza. Visto che non c’è autonomia se non si accetta anche la necessaria dipendenza in cui ci getta ogni legame – che senso avrebbe una relazione se non si dipendesse almeno in parte dai gesti, dagli sguardi, dalle parole e dai sorrisi della persona che si ama? Anche se poi questa dipendenza non è totale – e non è quindi pericolosa – solo a partire dal momento in cui si è consapevoli della propria dignità e si costruisce quel nocciolo duro di autonomia personale che ci aiuterà poi a progettare la nostra vita sulla base dei nostri valori fondamentali.